Quando ci accorgiamo che nostro figlio passa troppo tempo davanti allo schermo, che si isola, si innervosisce o si distrae facilmente, è naturale puntare il dito contro la tecnologia.
Ma è davvero “colpa” dei dispositivi? O forse è il modo in cui noi adulti li abbiamo inseriti nella vita quotidiana che merita una riflessione più profonda?

La verità è che la tecnologia è neutra. Non è buona, non è cattiva. Diventa utile o dannosa in base a come viene usata. E il primo passo per aiutare i bambini è cambiare il nostro approccio educativo, non solo imporre divieti.
Dallo strumento al sostituto: quando lo schermo diventa scorciatoia
Tablet e smartphone sono nati come strumenti. Ma per molti bambini sono diventati:
- una valvola di sfogo (per scaricare rabbia o noia),
- una ricompensa (“se fai il bravo, puoi giocare col tablet”),
- un tranquillante familiare (“così almeno sta calmo”),
- un baby-sitter quando i genitori hanno bisogno di una pausa.
È comprensibile. Siamo genitori, non supereroi. Ma se lo schermo diventa la risposta automatica a ogni difficoltà, il bambino impara a usarlo non come strumento, ma come regolatore emotivo.
Non serve vietare, serve guidare
Immagina di consegnare un’automobile a un bambino senza istruzioni, senza cinture, senza limiti. Non lo faresti mai. Ma è quello che, spesso inconsapevolmente, facciamo con gli schermi.
- Lasciamo il tablet in mano a un bimbo di 3 anni senza sapere cosa guarda.
- Offriamo il telefono per calmarlo, anche se è frustrato o annoiato.
- Lasciamo che l’intrattenimento digitale prenda il posto del gioco, della noia creativa, del contatto umano.
Non si tratta di “togliere tutto”, ma di diventare adulti presenti, consapevoli e autorevoli, che accompagnano i bambini in questo nuovo territorio digitale.
L’importanza dell’educazione digitale
I nostri figli sono nativi digitali. Ma essere nativi non significa essere competenti. Hanno bisogno di una bussola, e quella bussola siamo noi.
Educare a un uso sano della tecnologia significa:
- insegnare che ci sono tempi per tutto,
- mostrare come usare gli schermi in modo attivo, non passivo,
- spiegare che la noia non va eliminata, ma attraversata,
- dare l’esempio con le nostre abitudini digitali.
E noi adulti, che rapporto abbiamo con la tecnologia?
Non possiamo chiedere ai nostri figli di “stare meno al cellulare” se noi siamo sempre con lo sguardo abbassato sullo schermo.
L’educazione digitale parte dal nostro esempio.
Ogni volta che spegniamo lo smartphone per guardare davvero nostro figlio negli occhi, gli stiamo dicendo: “Tu sei più importante di tutto il resto.”
Ogni volta che condividiamo un video con lui e ne parliamo insieme, invece di lasciarlo solo davanti allo schermo, gli stiamo insegnando che la tecnologia può essere relazione.
Cambiare è possibile (e non serve essere perfetti)
Non dobbiamo essere genitori perfetti, ma presenti. Non dobbiamo conoscere ogni app o ogni rischio, ma essere disponibili, coerenti e aperti al dialogo.
Cambiare il nostro approccio alla tecnologia non significa rinunciare a tutto, ma scegliere con cura, porre limiti sensati, rispettare i bisogni reali di crescita dei nostri figli.
Un nuovo punto di partenza
La tecnologia non è il nemico. Il vero rischio è lasciare che cresca da sola, senza guida né confini.
Educare non vuol dire vietare. Vuol dire accompagnare, osservare, correggere quando serve e sostenere sempre.
Nel prossimo articolo parleremo proprio di questo: l’importanza dell’esempio degli adulti. Perché, più di ogni regola o app di controllo, è il nostro comportamento a costruire nei bambini un rapporto sano con gli schermi.